Renzo Margonari (Mantova, 1937). “Ho imparato a disegnare prima che
            a scrivere, molto prima, verso i tre anni -racconta Margonari-.
            Disegnavo con ogni tipo di matita, ma di preferenza inginocchiato a
            terra, all’aperto, senza guardarmi attorno, assorto in una specie di
            trance medianica, a volte per l’intera giornata. Ancora oggi, se mi
            trovo in difficoltà nel descrivere un oggetto o un concetto, mi
            spiego disegnando. Mi sono affinato facendo disegno accademico,
            volontariamente, fino ai quindici anni (...). Il disegno, la
            grafica, hanno per me valore di pronto impiego per la stimolazione
            fantastica, benché spesso mi lasci prendere la mano dall’innata
            coscienza artigianale che m’induce a ‘far bene’, rallentando la
            formulazione dell’idea per ottenere un risultato tecnico talvolta
            perfettamente inutile sotto il profilo concettuale”. “Surrealista
            per natura”, come si definisce, Margonari presenta la sua prima
            mostra personale a Mantova nel 1959. Congedato dal servizio
            militare, che svolge a Udine, nel 1960, inizia a lavorare come
            aiutante per alcuni artisti dell’area avanguardistica milanese e
            romana, e a collaborare nel settore della critica d’arte. Compie poi
            una serie di viaggi in Europa, Asia, Africa. Già nel 1961 è
            segnalata la sua partecipazione a importanti mostre collettive. Nel
            1966 é tra gli organizzatori della Prima Mostra Mondiale di Poesia
            Visiva alla Casa del Mantegna di Mantova, e l’anno successivo cura
            per Franco Solmi, a Bologna, l’organizzazione della mostra “Il
            Presente Contestato”, una delle prime rassegne intemazionali a tesi
            critica d’arte contemporanea in Italia. Dopo l’esordio in campo
            artistico nell’ambito del nuclearismo milanese e dell’informale
            segnico (ispirandosi soprattutto a Scanavino), Margonari approda a
            una figurazione fantastico-espressionista, realizzando diverse opere
            dedicate alla liberazione dell’Algeria e altre appartenenti alla
            serie dei “vescovi”. Conosce i pittori surrealisti Sebastian Matta e
            Maurice Henry, Manina, Guy Harloff, Carlos Revilla, con i quali
            instaura uno stretto legame d’amicizia. Entra in contatto anche con
            Max Ernst e Marcel Jean, per i quali scrive note di presentazione
            alle mostre personali che questi artisti allestiscono in Italia.
            Contemporaneamente si accosta all’ambiente dell’avanguardia
            letteraria e diventando amico di Giorgio Celli, Adriano Spatola,
            Cesare Vivaldi. Nel 1966 è lo stesso Spatola a sottolineare la
            legittimità teorica della pittura di Margonari, che non deve essere
            tacciata di “stravaganza”: “Margonari ha tentato di ‘far saltare’ la
            struttura non soltanto formale ma anche ideologica del suo quadro.
            L’ha rimeditato non più come oggetto di provocazione, ma come
            strumento di contatto con la realtà. La vena anarchica e ribelle che
            tuttavia scorre attraverso la superficie colorata non deve far
            pensare a una sostanziale inesattezza di questa interpretazione:
            anzi, deve metterre sull’avviso, e indurci a un approfondimento
            delle ragioni che sostengono una pittura che, comunque la si guardi,
            non può che risultare ‘stravagante’ nel panorama odierno della
            pittura italiana”. Ciò giustifica l’apprezzamento dei colleghi
            pittori visionari, quali i “senatori” Leone Minassian, Giannetto
            Fieschi, Sergio Dangelo, che scrivono per lui convinte pagine, e
            letterati quali Cesare Zavattini, e Roberto Sanesi coi quali nutre
            una stretta amicizia o, più recentemente, Gio Ferri. Margonari entra
            in contatto poi con Italo Cremona, e con Luigi Carluccio, Enrico
            Crispolti, Giuseppe Marchiori, Mario De Micheli, che sostengono a
            livello critico la sua pittura. A Roma conosce Corrado Cagli e
            partecipa, con il Gruppo del Girasole, ad animare la vita culturale
            della capitale; ha cordiali incontri col neoromantico Mayo, col
            maestro messicano Rufino Tamayo, e col pittore e scrittore Pierre
            Klossowsky che gli fa visita a Mantova. A Parigi, su invito di
            Edouard Jaguer, entra a far parte del gruppo intemazionale
            parasurrealista “Phases”. Nei primi anni Settanta la ricerca di
            Margonari, che unisce allo studio di Ernst e di Magritte quello per
            il Neodada e per la Pop Art, si focalizza attorno ad alcune figure
            (il pesce, la goccia, il fiore, la freccia), dipinte con una
            paziente puntigliosità descrittiva. Numerose le rassegne di pittura,
            grafica e scultura, in Italia e all’estero, a cui l’artista ha
            partecipato in questi anni conseguendo premi: tra le altre, la
            Biennale del Mediterraneo di Alessandria d’Egitto,(1971), la XXXVI
            Biennale di Venezia (1972), la mostra “Realités Nouvelles” a Parigi
            (1975).
            Interessante il giudizio di Dino Buzzati, che definisce Margonari un
            “surrealista al secondo grado, per così dire: anziché rendere magica
            la realtà consueta, come faceva il primo de Chirico, cerca di
            ricavare la magia, la surrealtà, da figure e situazioni inventate
            con una pittura precisa e pulitissima”. Per lui, come scrive Enrico
            Crispolti, “la surrealtà resta il modo più autentico di
            contestazione di un ordine logico condizionato; ma al tempo stesso e
            anche il mezzo per ristabilire un colloquio profondo persino con il
            territorio dell’infanzia. Tipico è appunto il caso del pesce, che se
            per origine riporta alle frequentazioni infantili dei laghi
            mantovani (allora ben diversamente pescosi e ben più svariatamente
            popolati), e poi soprattutto il protagonista di una vicenda di
            condizionamenti che lo vede snaturarsi in inscatolamenti piramidali
            (ed esibirsi magari, in quella forma, con prestigiosità di clown
            ormai alienato), o in riduzioni a striscia, meccanizzato e
            squadrato, cosi che per lui appare ormai appropriato un bacino di
            carenaggio, e così via. Altrimenti è la goccia, le gocce ultime
            reliquie ‘in vitro’ di una natura perduta. Altrimenti un fiore...”.
            Tutti questi elementi, come afferma ancora Crispolti, “si
            configurano attraverso memorie d’infanzia, e stupori del mondo
            animistico”; spesso la loro epifania sulla tela segue il principio
            della ripetizione, come sottolinea nel 1973 Corrado Cagli: “Poeta
            dell’astrazione semplice, Margonari segue principi modulari, impiega
            andamenti seriali. È uno degli spiriti più significativi e
            determinanti nell’area del fantastico”. La surrealtà di Margonari,
            definito da Carlo Munari “L’entomologo fantastico”, non è però
            “un’evasione”, ma una “contestazione”, anche se sempre risolta sul
            filo dell’ironia, che permette di vedere il mondo attraverso
            un’ottica inedita (“Tutto quello che fa Margonari, lo fa con una
            vena di umore, ilare e ironico”, nota, sempre nel 1973, Luigi
            Carluccio).  Le “gocce”, ad esempio, che, a partire dagli anni
            Ottanta, costituiscono il principale elemento attorno a cui ruota la
            produzione dell’artista, subiscono inaspettate metamorfosi creando
            continue sorprese; distillate dagli stessi spazi immobili e siderali
            visitati da Tanguy, divengono “microcosmi visionari” pronti a
            rivelare sempre nuove realtà attraverso un sapiente gioco di forme,
            attraverso esplosioni e schizzi illusionisticamente tridimensionali.
            L’inesauribile fantasia dell’artista lo porta infatti ad
            “appassionarsi alla fenomenologia della materia, al suo scoppiargli
            tra le mani”, perché “Margonari é inventore, e felice di
            contraddirsi nel decorativo liberty, nel dripping di perle, tuorli e
            gocce” (Marcello Venturoli), per giungere, alla fine degli anni
            Ottanta, ad un curioso accostamento fra un eruttivo “tachisme
            iperrealista” (Jean Dypreau) e un geometrismo astratto di linee,
            triangoli e cerchi. John Matthews ha scritto che “la padronanza del
            colore e della struttura che possiede Renzo Margonari non ha bisogno
            di essere enfatizzata: parla da sola e l’ha fatto per molto tempo
            (...). La nostra conclusione sarebbe semplicemente che la
            preoccupazione principale di Margonari sia rimasta ‘come
            dipingere?’. E poiché ora sa ‘come dipingere’, ha puntato tutta la
            sua attenzione, e ha ottenuto buoni risultati, su ‘cosa’ dipingere”.
            Così, le opere di Margonari “diventano intimazioni, messaggi
            indecifrati che provengono dall’ignoto (...). Parlando di ciò che
            deve mostrare, egli interpreta ciò che vediamo, non secondo un
            criterio di rassomiglianza (questa non è arte rappresentativa, quale
            siamo abituati a riconoscere ed a recepire), ma di associazione. E
            l’associazione verbale è tipicamente anti-seria, basata molto spesso
            su un gioco fonico. Inoltre il titolo fornisce all’opera una
            possibile interpretazione che è chiaramente inventata e perciò non
            strettamente obbligatoria. Non aspettatevi che Renzo Margonari
            spieghi i suoi temi, accettate i consigli che offre per definire ciò
            che vedete come volete, e, come l’artista stesso, nei termini della
            vostra scelta”. Infatti, come afferma José Pierre, “secondo ciò che
            leggerete nelle macchie del test di Rorscharch, il vostro psichiatra
            vi renderà la liberta, o vi farà gettare in fondo ad un asilo per
            pazzi. Ma con il test di Margonari, non rischiate niente di simile.
            Lasciatevi liberamente andare alla fascinazione. Non senza
            dimenticare, in un secondo tempo, ciò per cui siete stati
            affascinati. ‘Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei’, dice un
            proverbio francese. Naturalmente, è  ‘dimmi cosa ti frequenta’
            che bisogna comprendere. Protendetevi sulle tele di Renzo Margonari
            e saprete cosa vi frequenta, e saprete chi siete”. Il diritto alla
            totale libertà interpretativa delle opere di Margonari da parte
            dello spettatore viene sottolineato anche da Chang Tsong-Zung in
            occasione della personale dell’artista tenutasi a Hong Kong nel
            1987, all’Academy of Performing Arts: “Evocando immagini
            surrealistiche di archetipi occidentali, badate, veramente elaborati
            con moltissima attenzione, Renzo ci permette di valutare che non ci
            sono interpretazioni prefisse; l’indovinello non ha soluzione”. È
            seguito l’invito alle Biennali di Shenzen del 1998 e del 2001, unico
            artista occidentale. L’incontro con la cultura cinese per Margonari
            diviene anche incontro con il calligrafismo orientale, con una
            preziosità grafica che si accompagna a una raffinata cromia. Nelle
            opere dell’ultimo decennio è ancora presente l’elemento acquatico,
            ma la”goccia” ha perso la sua centralità di visione e sono apparse
            nuove forme e materiali (palline di vetro, conchiglie, biglie, pezzi
            di legno, sabbie). 
            Alcune riviste di cultura gli hanno dedicato un numero. Tra le
            altre, da “Planete” a “Il Tarocco”, a “Fantazaria”, recentemente “il
            Grande Vetro”, “La tortue-liévre”. Non sono mancati, per l’artista
            mantovano, accanto ai numerosi riconoscimenti per la pittura, nel
            campo della grafica e la pittura (al “Premio Michetti”, 1968, alla
            Esposizione Internazionale di Disegno di Rijeka, nel 1970, alla IV
            Biennale Internazionale della Grafica di Firenze, nel 1974, alla VI
            Biennale de la gravure di Krakow, nel 1976). Notevole anche il suo
            attivismo nel campo della critica d’arte (figura tra i fondatori e i
            redattori di riviste culturali come “II Portico” e la milanese
            “N.A.C.” e altre), il suo impegno nell’organizzazione di mostre
            sull’arte fantastica, dalla dirompente, “Il ricupero del fantastico”
            (Viadana e Ferrara, 1967) a quella, anticipatrice “Aspetti dell’arte
            cinese contemporanea”, già nel 1988. Nel settore della critica
            d’arte ha scritto volumi sull’arte antica e moderna, ha curato
            innumerevoli cataloghi e mostre e monografie di numerosi artisti. Ha
            ricevuto premi per la critica alla Biennale di San Marino, alla
            Biennale di Poggibonsi, al Premio Sulmona e altri. Mentre, per
            meriti artistici, ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui l’
            “Ottrano d’argento” col regista Alessandro Blasetti, o la “Caveja
            d’argento” a Forlì. La città di Siena gli attribuisce la “Santa
            Caterina d’Oro” nel 1995; é nominato cittadino onorario della città
            di Dozza nel 1996. 
            Personalità eclettica dalla curiosità inesauribile, si è cimentato
            anche nella scultura (esponendo a Parigi, Vienna, Tel Aviv), nel
            settore della gioielleria creativa (ha partecipato alia Biennale
            Intemazionale “Aurea Arte” di Firenze), della scultura in vetro
            lavorando con Venini, Salviati, Toso, e soprattutto con Lino
            Tagliapietra, in quello della ceramica lavorando nella fornace di
            Sandro Soravia di Albissola; ha collaborato anche alla realizzazione
            di documentari d’arte per la casa di produzione svizzera Polivideo.
            Fondatore della Scuola di Grafica Artistica di Castelnuovo del
            Garda, e direttore del Museo d’Arte Moderna di Gazoldo degli
            Ippoliti (Mantova). Ha tenuto le cattedre di Storia dell’Arte e di
            Pittura all’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona, essendone
            direttore per oltre un decennio, dal 1987 al 1998. Margonari, come
            ha scritto Giuseppe Marchiori, “non fa parte di nessuna mafia
            artistica, é un artista libero, ama l’arte fantastica, inventa ogni
            volta una propria surrealtà, rompendo indugi, spazi, convenzioni,
            tradizioni, consuetudini, con una rapace certezza collaudata da una
            lunga serie di viaggi nel tempo, che gli hanno fatto scoprire una
            segreta misura stilistica negata agli altri”. Inoltre questo
            artista, come ha osservato Patrick Waldberg, “con i suoi scritti e
            la sua pittura, non ha mai smesso di difendere, in Italia, il
            difficile volo dell’immaginario, in poesia o in arte. Questo
            comportamento da solo meriterebbe che gli si intrecciassero palme.
            Ma c’e in più la sua pittura, dove i meticolosi barbagli
            dell’infanzia si legano al sogno inquieto dell’uomo maturo che non
            ha rinunciato alla ricerca dell’essenziale”. La più recente
            testimonianza, in occasione di una recente personale, ben oltre le
            cento, é dell’artista Lucio Pozzi che scrive da New York: “Col
            sorriso innocente di un demone seduttore... si scaraventa... nel
            nostro sguardo e prima che ce ne siamo accorti se n’e già andato. Ma
            poi non c’è più modo di liberarsene”.
            
            
Marialivia Brunelli